The Amnesty International Report about Libya:
CS161
- 30 settembre 2016
Amnesty
International ha dato l'allarme sulla situazione di centinaia di residenti del
quartiere di Ganfouda, a Bengasi, che dopo diversi mesi di blocco militare si
trovano ora in mezzo a combattimenti sempre più intensi.
L'organizzazione
per i diritti umani ha raccolto testimonianze tra le 130 famiglie libiche e le
centinaia di stranieri che sono intrappolate da mesi a Ganfouda, nella zona
sud-occidentale di Bengasi. Tutte le strade d'accesso sono bloccate dalle forze
dell'Esercito nazionale libico o dai combattimenti mentre le forniture di cibo,
acqua ed energia elettrica sono interrotte.
"Gli
abitanti di Ganfouda rischiano di morire intrappolati nei combattimenti:
sopravvivono nutrendosi di cibo guasto e acqua sporca mentre le bombe
continuano a cadere incessantemente. Per gli ammalati e i feriti si stanno esaurendo
anche le scorte di medicinali già scaduti" - ha denunciato Magdalena
Mughrabi, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Africa del Nord di
Amnesty International.
"Con
l'intensificarsi degli attacchi aerei e i combattimenti sempre più vicini, molti
abitanti di Ganfouda hanno troppa paura di lasciare le loro case. Sollecitiamo
tutte le parti in conflitto a rispettare il diritto internazionale umanitario e
a consentire l'ingresso senza restrizioni dei soccorsi umanitari. Coloro che
vogliono lasciare la zona devono essere protetti dagli attacchi basati sulla
loro provenienza o sulla presunta affiliazione politica" - ha dichiarato
Mughrabi.
Intorno alla
metà del 2014, l'ex generale Khalifa Haftar ha lanciato l'offensiva militare
"Operazione dignità" contro le milizie e i gruppi armati islamisti di
Bengasi, che in seguito hanno formato una coalizione denominata Consiglio della
shura dei rivoluzionari di Bengasi (Csrb).
Durante i
combattimenti, entrambe le parti hanno commesso gravi violazioni del diritto
internazionale umanitario, in alcuni casi equivalenti a crimini di guerra.
A distanza
di due anni, l'Esercito nazionale libico sotto il comando di Haftar continua a
colpire dall'alto le zone di Bengasi sotto il controllo del Csrb, soprattutto
Ganfouda, mettendo in pericolo la vita dei civili. Le forze di Haftar hanno
anche limitato l'entrata e l'uscita dal quartiere, lasciando molte persone
esposte agli attacchi aerei.
Mohamed, un
residente di Ganfouda, ha detto ad Amnesty International che nell'ultima
settimana gli attacchi aerei e i colpi di artiglieria sono aumentati di intensità
e di vicinanza e ha denunciato l'assoluta necessità di aiuti umanitari,
specialmente per i bambini:
"I
bambini sono pelle e ossa, il cibo scarseggia e quello che c'è è inadeguato. Se
solo potessero fargli arrivare un po' di cibo o portarli via da qui, in cambio
accetterei di restare qui per il resto della mia vita".
Mohamed ha
poi raccontato che le scorte di olio, riso e farina sono terminate e che la
mancanza di combustibile per cucinare costringe a cuocere i cibi in una
carriola riempita di carbone. Ha un problema ai reni ma le medicine sono
finite.
Nonostante
questa situazione, Mohamed ha preso con sé otto famiglie in fuga dai
combattimenti: così nella sua abitazione ci sono attualmente circa 45 persone,
tra cui 23 bambini.
"Tra
noi non ci sono combattenti, siamo dei comuni cittadini. È come stare in
prigione" - ha sottolineato, aggiungendo che i bombardamenti sono
sistematici e indiscriminati e che l'interruzione della corrente elettrica,
ormai da due anni, costringe le persone a rimanere strette e immobili durante
la notte.
"Non
vogliamo nient'altro che un modo sicuro per andare via. Ho due figli di tre
anni e mezzo e due anni. Non c'è latte né cibo per loro. Devo riempire delle
bottiglie d'acqua e fargli credere che sia latte" - ha dichiarato "Waleed"
(il nome è stato cambiato per proteggere la sua identità).
A rendere la
vita così tremendamente difficile non è solo la mancanza di beni fondamentali
ma anche la costante paura delle bombe e dei colpi d'artiglieria. Tarik Gaoda,
un altro residente di Ganfouda con cui Amnesty International era in contatto, è
stato ucciso il 1° luglio insieme al padre ottantenne durante un bombardamento.
"Gli
aerei pattugliano il cielo e la gente ha paura persino di uscire di casa perché
quelli, non appena vedono movimenti, colpiscono. Pochi mesi fa
hanno colpito persino una moschea" - ha raccontato "Hassan".
"I
bombardamenti sono costanti, non usciamo di casa per niente" - è la
testimonianza di "Khadija", quatto figli di cui l'ultimo partorito in
casa 10 mesi fa. Non ha latte in polvere né medicine e la mancanza di acqua
potabile è un altro grave problema.
"Ognuna
delle parti in conflitto deve prendere tutte le misure possibili per proteggere
le vite dei civili intrappolati nei combattimenti a Ganfouda e in altre parti
della Libia, nel rispetto degli obblighi del diritto internazionale
umanitario" - ha sottolineato Mughrabi.
"Gli
attacchi indiscriminati o sproporzionati sono vietati dal diritto
internazionale e chi prende parte al conflitto deve fare il massimo sforzo per
distinguere tra obiettivi militari e civili od obiettivi civili, come le case e
gli edifici. Armi esplosive imprecise come l'artiglieria non dovrebbero mai
essere impiegate nelle vicinanze di aree ad alta densità abitativa" - ha
aggiunto Mughrabi.
Tra le
persone intrappolate a Bengasi figurano anche circa 130 detenuti, rapiti dal
gruppo armato Ansar al-Sharia nel 2014 e per la sorte dei quali più volte
Amnesty International ha espresso preoccupazione. Secondo notizie di stampa che
non è stato possibile sottoporre a verifica indipendente, una ventina di essi
sarebbe rimasta uccisa dagli attacchi aerei.
Centinaia di
cittadini stranieri - tra cui molti lavoratori migranti originari del Sudan,
del Ciad e del Bangladesh - sono tra i civili bloccati a Ganfouda. Secondo
fonti di stampa almeno cinque sudanesi sarebbero rimasti uccisi ad agosto in un
attacco aereo. I residenti di Ganfouda interpellati da Amnesty International
hanno detto che nei recenti attacchi aerei sono stati uccisi degli stranieri.
"Viviamo
come animali" - ha denunciato "Samir", un ex agente della
polizia giudiziaria che vive a Ganfouda con la moglie, tre figli e una
figlioletta di un anno. Dopo aver accolto tre famiglie scampate al conflitto,
nell'abitazione vivono attualmente 24 persone, tra cui 14 bambini.
"La
nostra abitazione è stata colpita e danneggiata da tre colpi di artiglieria:
uno è entrato in camera da letto, un altro ha centrato le scale e il terzo, che
per fortuna non è esploso, la cucina" - ha raccontato "Samir",
aggiungendo che negli attacchi aerei di agosto sono morte persone di sei
famiglie, due delle quali provenienti dal Ciad.
La mancanza
di linea telefonica in buona parte di Ganfouda rende difficili i contatti col
mondo esterno, col risultato che chi cerca di contattare i parenti non sa se
siano ancora in vita.
I civili
hanno anche il terrore di subire attacchi basati sulla loro presunta
affiliazione al Csrb, dopo che un leader tribale che collabora all'Operazione
dignità ha affermato, alla fine di agosto, che a chiunque abbia più di 14 anni
non dovrà essere consentito di uscire vivo dal quartiere.
"Tutte
le parti in conflitto dovrebbero facilitare l'ingresso degli aiuti e garantire
un percorso di uscita sicuro a chi vuole lasciare la zona. I civili non
dovrebbero mai essere usati come scudi umani e coloro che vogliono abbandonare
Ganfouda dovrebbero essere protetti dagli arresti arbitrari, dalla tortura e da
ulteriori violazioni dei diritti umani" - ha concluso Mughrabi.